In programma nei giorni:
gio 28 apr 2016 ore 21:00
Cesare deve morire
regia
Paolo Taviani, Vittorio Taviani
cast
Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca, Juan Dario Bonetti, Vincenzo Gallo, Rosario Majorana, Francesco De Masi, Gennaro Solito, Vittorio Parrella, Pasquale Crapetti, Francesco Carusone, Fabio Rizzuto, Fabio Cavalli, Maurilio Giaffreda
durata
77
nazione
Italia
uscita
2 marzo 2012
genere
Docu-fiction
distribuzione
Sacher
produzione
Film d'essai:
Si
altre info su

Una docufiction che segue i laboratori teatrali realizzati dentro il Carcere di Rebibbia dal regista Fabio Cavalli, autore di versioni di classici shakespeariani interpretate dai detenuti. Si seguono le loro prove e la messa in scena finale del “Giulio Cesare”, ma anche le vite dei detenuti nelle loro celle.

Nel teatro all’interno del carcere romano di Rebibbia si conclude la rappresentazione del “Giulio Cesare” di Shakespeare. I detenuti/attori fanno rientro nelle loro celle. Sei mesi prima: il direttore del carcere espone il progetto teatrale dell’anno ai detenuti che intendono partecipare. Seguono i provini nel corso dei quali si chiede ad ogni aspirante attore di declinare le proprie generalità con due modalità emotive diverse. Completata la selezione si procede con l’assegnazione dei ruoli chiedendo ad ognuno di imparare la parte nel proprio dialetto di origine. Progressivamente il “Giulio Cesare” shakesperiano prende corpo.I fratelli Taviani erano certamente consapevoli delle numerose testimonianze, in gran parte documentaristiche, che anche in Italia hanno mostrato a chi non ha mai messo piede in un carcere come il teatro rappresenti un strumento principe per il percorso di reinserimento del detenuto. Quando poi si pensa a una fusione di fiction e documentario la mente va piuttosto al recente e sicuramente riuscito film di Davide Ferrario Tutta colpa di Giuda. I Taviani scelgono la strada del work in progress utilizzando coraggiosamente l’ormai antinaturalistico (e televisivamente poco gradito) bianco e nero. L’originalità della loro ricerca sta nella cifra quasi pirandelliana con la quale cercano la verità nella finzione. Questi uomini che mettono la loro faccia e anche la loro fedina penale (sovrascritta sullo schermo) in pubblico si ritrovano, inizialmente in modo inconsapevole, a cercare e infine a trovare se stessi nelle parole del bardo divenute loro più vicine grazie all’uso dell’espressione dialettale. Frasi scritte centinaia di anni fa incidono sul presente nel modo che Jan Kott attribuiva loro nel saggio del 1964 dal titolo “Shakespeare nostro contemporaneo”. Ogni detenuto ‘sente’ e dice le battute come se sgorgassero dal suo intimo così che (ad esempio) Giovanni Arcuri è se stesso e Cesare al contempo e la presenza del regista Cavalli e dell’ex detenuto e ora attore Striano nel ruolo di Bruto non stonano nel contesto. Ciò che purtroppo diventa dissonante (anche se non inficia alle radici il valore dell’operazione) è la pretesa di far ‘dire di sé’ ai detenuti. Nei momenti in cui dovrebbero uscire dalla parte per rientrare in se stessi si avverte che è proprio allora che stanno recitando un copione che parla delle loro tensioni o delle loro attese.La ricerca della verità nella finzione si trasforma in finzione che pretende di palesare delle verità. Non era necessario. Shakespeare aveva già splendidamente ottenuto il risultato.

Commento tratto da www.mymovies.it - Scheda pubblicata il 8 marzo 2016 .